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Amir Naderi, dal deserto alla montagna l’energia del vero cinema indipendente

Giuseppe Gariazzo Marzo 18, 2017

Il cinema come gesto assoluto, che fa vivere e resistere, che salva e non prevede intermezzi. Come una maratona dalla quale non ci si può ritirare, durante la quale (e prima, nella sua preparazione) impegnare tutte le energie mentali e fisiche. Questo è il cinema di Amir Naderi. Il suo film più recente, Monte, dopo l'anteprima alla Mostra di Venezia 2016 e un'uscita fantasma nelle sale, fa parte del cartellone del Busto Arsizio Film Festival (BAFF, 17-25 marzo 2017) diretto da Steve Della Casa e giunto alla quindicesima edizione.

Nel cinema del regista iraniano, poi trasferitosi negli Stati Uniti e autore apolide tra New York, Las Vegas, Giappone, Italia, ogni elemento è un pezzo che contribuisce a formare l'insieme di un percorso e di una visione del mondo talmente soggettivi da farsi immediatamente comunicazione universale. L'opera di Naderi è un preciso esempio di coerenza, il fluire ininterrotto di una materia umana e filmica da rielaborare di volta in volta in spazi con i quali entrare in connessione profonda, siano essi il deserto dell'Iran o di Las Vegas, la metropoli di New York, le montagne del Trentino-Alto Adige. Questo percorso inizia in Iran dove Naderi elabora una personale idea di realismo che si manifesta attraverso uno sguardo visionario e sperimentale. Ci sono i primi film degli anni Settanta inscritti nel realismo sociale che annunciano un cinema che si farà sempre più libero con i capolavori Il corridore (1985) e Acqua, vento, sabbia (1988). In quell'anno Naderi lascia l'Iran e si stabilisce a New York, dove continua il suo infaticabile lavoro di regista radicalmente indipendente. Nasce la trilogia dedicata alla metropoli (Manhattan by Numbers, 1993; A, B, C… Manhattan, 1997; Marathon, 2002). Seguita da Sound Barrier (2005), vera e propria maratona sensoriale, e Vegas: Based on a True Story (2008). Quindi, la parentesi giapponese con il film sul cinema Cut (2011) e quella italiana con Monte (2016), film dove la parola non è tanto quella, minima, delle persone quanto quella dei luoghi aspri, rocciosi, insidiosi, senza tempo (il film è ambientato nel Medio Evo, ma è metafora di un'età espansa che giunge fino all'oggi) con(tro) cui lotta fino allo sfinimento l'essere umano per raggiungere una meta-utopia.

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