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La recensione di Arrival: ecco perché dovreste recuperare il film

Rosanna Ilaria Maggio 1, 2017

Il regista di Prisoners e Sicario, Denis Villeneuve, colpisce ancora. Questa volta, però, lo fa portando sui grandi schermi di tutto il mondo la pellicola di fantascienza Arrival, in concorso alla 73. Mostra Internazionale del Cinema di Venezia. Quando un misterioso oggetto proveniente dallo spazio atterra sul nostro pianeta, per investigare su quanto accaduto viene formata una squadra di élite, capitanata dall’esperta linguista Louise Banks (Amy Adams). Mentre l’umanità vacilla sull’orlo di una Guerra globale, la donna e il suo gruppo – tra cui emergono Ian Donnelly (Jeremy Renner) e il colonnello Weber (Forest Whitaker) – affronta una corsa contro il tempo in cerca di risposte e per trovarle, farà una scelta che metterà a repentaglio la sua vita e, forse, anche quella del resto della razza umana. Esistono davvero gli alieni? Cosa vogliono da noi? Come dovremmo comportarci nei loro confronti? Come possiamo comunicare con loro?

La recensione di Arrival

Che Denis Villeneuve fosse un regista capace l’avevamo già intuito, ma non avremmo mai immaginato di assistere a un’opera cinematografica così ben calibrata. A emergere non sono solo le scelte registiche (ricca di primi piani dotati di un’intensità unica e invidiabile), ma anche l’accurata ricerca della perfezione che si nota attraverso particolari ripresi, anche per quanto riguarda l’interpretazione dei protagonisti. I personaggi, infatti, spesso non hanno bisogno di parlare per comunicare tra di loro in quanto usano la profondità dei loro sguardi, capaci di trasmettere emozioni chiare e forti e di tenere incollati gli spettatori allo schermo per tutta la durata della pellicola, anche se qualche scena un po’ piatta è presente.

A rendere il progetto diverso da quelli dello stesso genere che solitamente siamo abituati a vedere al cinema è la volontà del regista di mettere al centro della storia l’importanza della comunicazione: non solo tra gli uomini, ma tra tutti gli esseri viventi, anche gli alieni (sempre se esistono chiaramente). Quando la linguista viene chiamata dal governo per tentare un approccio con queste nuove entità (12 in tutto), prende vita un modo inedito di rivolgersi a loro: immagini che nascondono un grande significato – a volte frainteso – e impossibili da comprendere a una prima occhiata.

La pellicola è a tratti imprevedibile: la linguista, infatti, sembra essere a stretto contatti con gli alieni, come fossero uniti da un legame più profondo. In Arrival, la cui colonna sonora è travolgente e cambia in base all’intensità delle scene e a ciò che avviene in quel momento, si assiste a un intreccio tra passato (?), presente e futuro che potrebbe confondere il pubblico in sala. Questo perchè fino a pochi minuti prima dell’intenso finale è difficile capire cosa si è verificato prima e cosa, invece, potrebbe non essere ancora avvenuto. 

Interessante è anche l’uso continuo di quelli che all’apparenza sembrano flashback, espediente che solitamente disturba il pubblico, ma che in questo caso permette di avere una visione più completa di tutta la storia e aiuta lo spettatore a farsi un’idea più precisa su quanto realmente sta accadendo. Parlando dei due interpreti, che nei loro ruoli sono impeccabili (soprattutto Amy Adams, che qui lavora con un’intensità sconvolgente) e molto credibili, possiamo dire che la coppia Adams-Renner pare funzionare benissimo sul grande schermo. L’alchimia tra i due è palpabile fin dall’inizio del film, e non è difficile intuire che tra i loro personaggi potrebbe nascere qualcosa.

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